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lunedì 4 settembre 2017

Monte Manfriana



Venerdì 18 Agosto mi organizzo per un'altra uscita in montagna e visto che il caldo ancora imperversa scelgo di partire nottetempo con l'obiettivo di cogliere anche il sorgere del sole. La destinazione prescelta e' il Monte Manfriana, una vetta che ha del magico tanto che ai tempi dell’antica Grecia riuscì a catturare l'attenzione dei colonizzatori. Sbarcando sulle coste calabre dell'alto Jonio infatti, videro nel profilo di quella cima bifida che si stagliava verso nord-ovest proprio il Monte Olimpo, patria dei loro dei.




Oggi sulla sua vetta orientale giacciono venticinque misteriosi massi squadrati datati tra la seconda metà del V sec e la prima metà del VI sec a.C. Pare che a scolpirli siano state popolazioni italiote lucane utilizzando però tecniche di costruzione apprese dai greci, una delle quali detta anathyrosis.




Due sono le teorie che cercano di dirci la verità su questi misteriosi massi. La prima riguarderebbe la realizzazione di un luogo di culto in onore del dio Apollo da cui sembrerebbe trarre origine il nome Pollino. La seconda invece avrebbe a che fare con una torre di avvistamento militare eretta dai lucani per scopi militari. Da qui' infatti si domina un'area vastissima che va dal mar Jonio, guarda tutta la Piana di Sibari e la Sila, i monti di Orsomarso e i valichi montani. Insomma si poteva controllare la via istmica Jonio-Tirreno. Dopo un periodo non bene determinato però, i bretti confinanti con i lucani avrebbero preso e distrutto questo insediamento di notevole importanza strategica.




Che si sia trattato dei greci o dei lucani, una cosa e' certa, il luogo era azzeccato in pieno perché la vetta della Manfriana dall'alto dei suoi 1981 m. e' incredibilmente panoramica. La sua forma piramidale completamente isolata da altre cime ne fa uno dei luoghi la cui vista e' assolutamente circolare, tanto che sembra di essere sospesi nel vuoto.




Per l’occasione contatto un amico al volo con il quale ho già condiviso un'escursione qualche mese fa. Neanche ad accennare di partire presto per vedete l'alba che mi dice subito di si. Alla faccia di quelli che un po' ti fanno tribolare quando c'è da organizzare qualcosa, che ti dicono sempre "organizziamo, facciamo, andiamo" e poi si tirano indietro perché la zia si è fatta male al dito del piede.




Raggiungiamo la località di partenza presso Colle Marcione alle quattro. Lampade frontali accese ci si avvia verso i 1200 m. di Colle della Scala dove bisognerà abbandonare la sterrata ed impegnare sulla destra la rampa che ci condurrà ai 1719m. della prima cima della Timpa del Principe.




Anche a quest'ora il caldo afoso si fa sentire e sono davvero contento di non percorrere questo tratto in mattinata inoltrata quando il sole già picchia di brutto trattandosi di una pietraia esposta completamente ad est. Il percorso per raggiungere la Manfrina fa parte della Via dell'Infinito, l'interminabile cresta che da Colle della Scala raggiunge il lontanissimo Dolcedorme.




Giunti sulla prima vetta della Timpa del Principe mi accorgo che il sole sta per sorgere così ci muoviamo per portarci sulla seconda cima a 1745 m. scendendo prima per un'avvallamento. Ma aimè l'alba ci coglie alla sprovvista proprio nel punto più basso dove la visuale e' anche coperta dalla faggeta. Allora mi volto correndo verso la prima cima dove la vista e' più favorevole e tolgo fuori la mia macchina fotografica con un piccolo treppiede. A causa dell'afa l'alba non è eccezionale ma in compenso zummando al massimo riesco ad inquadrare il disco infuocato del sole e grazie ad un ulteriore ingrandimento a casa riesco a scorgere anche le macchie solari. Un colpo eccezionale ed inaspettato.




Conclusasi l'operazione alba riprendiamo il nostro cammino lungo l'estetica cresta mentre i primi raggi di sole tingono di rosa il paesaggio e le cime lontane. Incontriamo sul nostro cammino i residuati di archeologia industriale della Rueping, la società tedesca che dal1911 al1933  a mezzo  teleferiche e funicolari devastò il nostro Pollino causando tagli indiscriminati di faggi e addirittura abeti bianchi, dei quali rimangono pochi esemplari in aree circoscritte del settore nord-orientale del Parco.




In quel lasso di tempo furono tagliate all’incirca 100.000 piante di faggio, risparmiando soltanto un centinaio di matricine per ettaro. Per fortuna lo scempio fini' in tempi relativamente brevi e le foreste del Pollino grazie alla notevole capacità pollonifera dei faggi si ripresero bene. Ora di quegli anni bui rimangono resti arrugginiti di grossi cavi metallici, di teleferiche e telai di legno un po' dappertutto nel nostro parco.






Dopo Timpa del Principe perdiamo momentaneamente quota per affrontare le cimette appuntite della Serra di Malaverna un po’ nel bosco,un po’ fuori per impegnare subito dopo la dura rampa finale per conquistare la cima orientale della Manfriana. Qui' avvistiamo due coppie di aquila reale e questo di per se e' già un fatto eccezionale. I volatili volteggiano leggiadri nel cielo descrivendo delle ampie spirali sfruttando le correnti ascensionali e coprendo spazi immensi in pochi attimi.



Non facciamo in tempo ad ammirare rapiti questi splendidi esemplari che da est giungono più coppie di grifoni che in quanto ad apertura alare possono benissimo competere  con le aquile. Spettacolo assolutamente sublime aggiungendo a questo gli spazi sconfinati della Fagosa e i pini loricati che dominano incontrastati le rupi più inaccessibili. Purtroppo uno dei più belli di essi proprio sotto la vetta,da dove più volte avevo scattato belle foto, lo troviamo bruciato, molto probabilmente colpito da un fulmine. Poco distante piante più giovani  rilevano il testimone dai più vecchi a dimostrazione che la vita si rigenera e continua.




Raggiungiamo la cima alle 8.30,e in tal modo ci prendiamo tutto il tempo per ammirare ed immortalare i massi squadrati e goderci lo splendido panorama che domina l'orizzonte. Non ci resta che rientrare ripercorrendo a ritroso l'intero crinale in un caldo opprimente che sembra non finire più. Tornando ai massi squadrati mi concedo un'ultima riflessione: che siano stati i greci o i lucani chissà se furono loro a conquistare queste splendide cime o fu il Pollino a conquistare loro.




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